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Elena Bouryka alla regia di “Meglio se stai zitta”

Originaria di Mosca ma Italiana d’adozione, al David di Donatello c’è Elena Bouryka. Già nota ala grande pubblico come attrice, Elena ha fatto tesoro della sua esperienza per passare dall’altra parte della macchina da presa. E lo ha fatto nel migliore dei modi, entrando nella sezione corti con “Meglio se stai zitta”.

Finora dove ha trovato i protagonisti per le sue storie?

Nel mio lavoro sono sempre partita dalla realtà. Essendo un attrice, ho bisogno di dedicarmi interamente ai personaggi: sapere come si svegliano la mattina, la loro infanzia, il motore che li muove, il bisogno… I personaggi vengono da tutto ciò che osservo, che mi colpisce. All’inizio lavoro su dettagli che sono molto più simili a me, per poi staccarmene interamente e dargli vita propria. La ricerca è molto importante in questa fase. I rapporti tra i personaggi creano la storia.

È capitato che abbia cambiato idea su come procedere in fase di scrittura della sceneggiatura?

La ricerca della storia e di come raccontarla al meglio, non ha mai fine. Può capitare che inizi con un tema preciso da affrontare, ma poi, i personaggi o la storia, trovano il loro spazio e ti portano loro stessi ad esplorare delle cose più interessanti. La scrittura non ha mai fine. Il film non è mai finito fino a quando il progetto non è stato sigillato compreso di musiche e color.

Quale corto di sua realizzazione offrirebbe come biglietto da visita ad un produttore cinematografico?

Questo lavoro è stato pensato come biglietto da visita. Pur avendo fatto più di 20 film da attrice, la mia passione è sempre stata quella di osservare il set, il lavoro del regista e tutte le altre maestranze per capirne di più. Diciamo che la mia gavetta l’ho fatta stando davanti alla macchina da presa, ma in realtà stavo studiando per poter, prima o poi, avere le competenze giuste per passare dall’altra parte.

Quale fase lavorativa la impegna maggiormente?

Come ho già detto, credo fermamente che il film non è finito fino a quando l’intera opera è stata realizzata. La scrittura è anche nella fase del montaggio, del montaggio delle musiche… Fino a quando non si dà il sigillo finale, il film può cambiare mille stili, può avere mille colori.
Ma sicuramente quella sulla quale mi sento molto sicura ed allenata, è la direzione degli attori. Magari ne devo ancora prendere la mano, ma un risultato l’ho sempre portato a casa.

Che rapporto hanno le generazioni digitali con il cortometraggio?

Il digitale è la salvezza per chi inizia e la morte per chi lavora come professionista da anni. Chi è abituato alla pellicola, ha avuto modo di guardare le cose attraverso una “fata” che ti raccoglie tutte le informazioni e ti riproduce una sua visione, una sua storia, pastosità, profondità, strati… dove tutto è raccontato con poesia e morbidezza. Chi è agli inizi, ha la possibilità di sperimentare nuovi modi possibili di ottenere quello che si ricerca, ma non di arrivare a un risultato preciso

La selezione del casting come avviene?

E bello esplorare andando anche agli opposti del personaggio. Grazie al lavoro da regista, ho capito che un attore non viene scelto per la sua bravura, ma se il personaggio viene fuori, se lo si ascolta di più attraverso la voce di una persona invece che di un’altra. Ho capito che l’ascolto è fondamentale nei personaggi. Di fronte vi sono delle persone. Per arrivare ad un cast completo, bisogna fare abbinamenti continui fino a quando non si arriva alla combinazione giusta. Ad un equilibrio.

Il corto è ancora lo strumento di promozione per un regista emergente?

Assolutamente sì.
Ma anche un modo per sperimentare nuove cose, se si ha voglia, da registi già affermati.

È possibile, spinti dalla sola passione, realizzare un corto di successo?

Beh, se sei nato genio, certo. Magari essere Harmony Korinne! Se invece non sai nulla di come affrontare un set, di quale tipo di lavoro si deve fare passo dopo passo, non sai avere le idee chiare sulla direzione, come ottenere dagli attori quello che vuoi per la scena, come parlare col montatore o qualunque maestranza…Allora la sola passione non basta. È un ottimo punto di partenza.
Una volta finito, il prodotto prende la sua direzione e ha già un proprio destino che noi scopriremo solo dopo anni

Quanto denaro è necessario per la realizzazione di un cortometraggio?

Una buona idea non ha bisogno di denaro. Con un budget giusto non si rischia di cadere in trappole dove un regista fa da produttore, attore, sceneggiatore… mette i propri vestiti agli attori e offre la propria casa come location… facendo un carrello con una sedia a rotelle e un audio inesistente con commento musicale fatto dal computer… Questo è un mestiere. Qualsiasi tipo di forma artistica ne viene fuori, ha bisogno di riconoscimenti. Con un budget accettabile, si ottengono risultati migliori.

Le agenzie ed i festival nazionali che ruolo hanno oggi?

I festival, per i cortometraggi, sono la loro distribuzione. Significa visibilità.
Significa confrontare la propria opera con prodotti magari anche migliori e capire dove poter migliorare. Significa crescita. Significa conoscere come chi sta crescendo con te, raccontare al meglio una storia con più semplicità possibile.